Proverbi

Inesauribile riserva di senno e argutezza popolare, il proverbio sfugge ancora a una definizione esauriente che lo distingua nettamente da altri fenomeni fraseologici. Vincenzo Lambertini — ricercatore in Lingua e traduzione francese all’Università di Torino e tra i più acuti e informati specialisti di linguistica del proverbio — ne traccia la storia per la collana «Le bussole» dell’Editrice romana e ne offre un’analisi linguistica, elaborando i dati raccolti alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche.

Lungi dall’essere un oggetto d’indagine obsoleta per la sua presunta natura esclusivamente folklorica, «i proverbi conservano quella forza comunicativa e oratoria che li ha resi grandi e ne ha permesso la trasmissione fino a oggi: essi, infatti, sono utilizzati nella conversazione spontanea, ma anche nella pubblicità, nella stampa, nei media (ivi compresi i nuovi social media), in politica, o ancora nel cinema, nel teatro e nella letteratura» (p. 7).

Servendosi di materiali estrapolati da contesti reali e di esempî autentici e tratti da corpora, l’Autore — al fine di superare i pregiudizî dominanti in materia — studia il fenomeno non solo attraverso le nuove tecnologie (le risorse elettroniche rappresentano il futuro della paremiologia e della paremiografia), ma in prospettiva linguistica e interdisciplinare, movendo dalla rassegna dei metodi analitici tradizionali (l’approccio folklorico, che lega il proverbio alla tradizione orale e ai costumi rurali e preindustriali; l’approccio linguistico, che si propone di identificare gli strumenti utili a una descrizione il più possibile persuasiva; le nuove tecnologie, che consentono di registrare regolarità e comportamenti ricorrenti), per approdare all’evoluzione del proverbio a livello d’uso e di ricerca, tentandone una definizione; segue un esame comparativo dei principali dizionarî di proverbî italiani e francesi.

Si noti la limpidezza con cui lo studioso esamina la differenza tra proverbio ed espressione idiomatica:

Prendiamo in esame l’espressione idiomatica Piangere sul latte versato e il proverbio È inutile piangere sul latte versato_. Chiediamoci, a questo punto, su che base stabiliamo che la prima sia un’espressione e il secondo sia un proverbio. La differenza più immediata ed evidente è che le espressioni idiomatiche sono costituenti di frasi, ossia unità inferiori alla frase, mentre i proverbi sono almeno frasi. Le espressioni idiomatiche possono essere equivalenti di verbi (Tirare le cuoia funziona come il verbo morire), ma anche di sostantivi (pensiamo a locuzioni nominali come_ papale papale o per la pelle_, locuzione aggettivale che accompagna spesso il sostantivo_ amici_) o di avverbi (alla bell’e meglio,_ alla carlona_,_ in un batti baleno_). L’espressione idiomatica necessita di essere completata da argomenti se è insatura_ [quando le valenze del verbo non sono espresse nella frase], o può fungere da argomento essa stessa, nel caso in cui si tratti di un’espressione satura, per poter formare una frase. L’espressione idiomatica non è in grado di formare frasi da sola. […] I proverbi, dal canto loro, sono almeno delle frasi: possono essere frasi semplici (come L’abito non fa il monaco_), complesse (ad esempio,_ Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere_), combinazioni di frasi e, quindi, frammenti di testo (come_ Aprile dolce dormire e forte sospirare: i granai sono vuoti e le botti cominciano a suonare_), che a loro volta possono tornare a essere frasi semplici, come si è spesso verificato nella storia del proverbio (riprendendo l’ultimo esempio,_ Aprile dolce dormire_). I proverbi non sono costituenti di frasi, come sono, invece, le espressioni idiomatiche, e possono essere impiegati nella loro forma standard (così come indicati in dizionari e liste di proverbi), senza dovere necessariamente subire modifiche o integrazioni._ (p. 51-52).

Dunque, il proverbio è almeno una frase. Ma a quali requisiti deve rispondere? Anzitutto, dev’essere una frase sentenziosa, nota, d’origine popolare e d’autore ignoto; in secondo luogo, non può non essere caratterizzato da genericità, ossia possedere una dose di verità universale. Proprio a proposito della genericità, è di grande interesse la sezione concernente lo stretto rapporto che lega i proverbî agli slogan pubblicitarî: se i primi sono di grande aiuto per la creazione dei secondi, questi possono proverbializzarsi; non è raro il caso di slogan che hanno assunto forme proverbiali, prima fra tutte la genericità:

Uno di questi è O così o Pomì_, slogan comparso nel 1982, e il cui successo come proverbio è probabilmente dovuto al riutilizzo di una struttura proverbiale già esistente, basata sulla contrapposizione tra due termini opposti, come in questi proverbi […]:_ O asso o sei_;_ O barattiere o cavaliere_;_ O Cesare o niente_;_ O Cesare o Niccolò_;_ O merda o berretta rossa_;_ O polli o grilli_;_ O principe o marinaio_;_ O tutto o nulla_. Questi proverbi fanno generalmente riferimento a “chi non si accontenta delle mezze misure e vuole tutto o niente”. Il proverbio progenitore sembrerebbe essere_ O Cesare o niente_, già citato da Svetonio nel_ De vita Caesarum_, secondo la forma originale latina_ Aut Caesar aut nihil_, che sembra essere anche all’origine di_ O Cesare o Niccolò_, dove_ Niccolò è la storpiatura di nihil_. Certo,_ O così o Pomì gode di maggiore notorietà rispetto ai proverbi di questo gruppo, sebbene non sappiamo se e quando cadrà nel dimenticatoio. Il che non sarebbe di per sé un problema, dato che nemmeno gli altri proverbi di questo gruppo sono attualmente noti alla maggioranza dei parlanti. L’unica grande differenza è che questi proverbi sono rimasti nell’uso per secoli: O Cesare o niente_,_ O Cesare o Niccolò_,_ O principe o marinaio_,_ O barattiere o cavaliere_,_ O polli o grilli sono inclusi nella Raccolta di proverbi toscani di Giusti e sono accompagnati da qualche indicazione d’uso. È plausibile, dunque, che, all’epoca di Giusti, questi proverbi fossero ancora utilizzati, il che ne sottolinea la permanenza nell’uso, incomparabilmente più lunga rispetto a O così o Pomì_. […] La pubblicità potrebbe diventare, dunque, una fucina di proverbi, grazie alla sua ampia diffusione e alla sua tipica irrazionalità._ (pp. 120-121, 122).

Completano il volume una lista di proverbî italiani e francesi e un utilissimo glossario.

Vincenzo Lambertini – Roma, Carocci, 2022
ENCICLOPEDIA TRECCANI

Proverbi Locali

  1. Ho camminato più di lupo a digiuno.
  2. Tutti i gusti son gusti disse quello che puppava un carzino d’agosto (oppure puppava un chiodo).
  3. Gl’è proprio vero: “Chi more e diace e chi vive si dà pace”.
  4. La donna di valore la consuma la luce e butta via il sole.
  5. Porte aperte pe chi porta e chi non porta e parta.
  6. La fame la leva i lupo da i bosco.
  7. T’hai più debiti te che la volpe.
  8. Tutto fa disse quello che pisciò in Arno.
  9. Sordo, sordo si fa la lira.
  10. I mi babbo un giorno mi disse: “Studia musica figliolo perché i mondo gl’è una gran banda”.
  11. Chi fila una camicia e chi non fila due.
  12. Cento mosche un fanno un boccone.
  13. Fritta gl’è bona anche una ciabatta.
  14. Chi non si misura e un dura.
  15. In dove un c’è regole e un ci sta frati.
  16. Chi si stira e chi s’allunga e un’ha voglia di fa nulla.
  17. Tira, tira i corto riman dappiedi.
  18. Un c’è peggior sordo di chi un vole intendere.
  19. Ho più sfortuna io che un cane in chiesa.
  20. Te tu inviti i matto alle sassate.
  21. Chi va al mulino e s’infarina.
  22. Tu lasci i pan di grano per andare a prendere quello di granturco.
  23. Per nulla un canta i ceco.
  24. E’ inutile volè stare in paradiso a dispetto de santi.
  25. Chi un fa un falla.
  26. Alla fine si fa come i Nardi! Che di presto fece tardi.
  27. Ridi, ridi, tanto tutti gl’anni ce n’è uno di novo disse i ciuo a i maiale.
  28. Fare e disfare gl’è tutto un lavorare.
  29. Di marzo chi un ha scarpe vada scalzo.
  30. Chi si loda s’imbroda.
  31. T’ha a fare come i padre potticcino che d’una trave fece un nottolino.
  32. Lavora vecchio t’hai la pelle dura.
  33. I che un tu voi nasce nell’orto.
  34. Per forza un si fa neanche l’aceto.
  35. I cardo delle lenzuola un fa bollire la pentola.
  36. L’albero lungo e si ripiega in vetta.
  37. Ehhèèèè! A codesta maniera vanno avanti anche i funai.
  38. Una noce in un sacco e l’ha un fa rumore.
  39. Da qui e domani nasce un ciuo e va da se.
  40. Chi non mangia ha già mangiato e dice i proverbio.
  41. E voglian fare le nozze co fii secchi.
  42. Dagl’amici mi guardi i Dio che dai nemici mi guardo io.
  43. Ne pe scherzo ne pe burla intorno a i c**o un ci voglio nulla.
  44. Si fa come gli antichi, si mangia la buccia e si butta via i fichi.
  45. Sai come dice i proverbio? Comandare e far da se.
  46. Quando la bocca prende e i c**o rende si va in c**o alle medicine e a chi le vende.
  47. Alla fine, si fa come quello di Faenza! E i che fece? Ehhèèèè, e fece senza!
  48. In do un ce né e un ci se ne mette.
  49. Vai, vai! Tanto la madia ellà unn’ha girello.
  50. La vecchiaia la viene con 19 mancamenti e quella della gocciola di naso fanno 20.
  51. In do va una parola e va anche un boccone.
  52. A settembre l’uva l’è matura e i fico e pende.
  53. La malattia che dura la viene a noia anche a le mura.
  54. La malattia viene a cavallo e va via con il ciuco.
  55. Quando si va a fare a stiaffi bisogna portare due balle: una pe prendille e una pe dalle.
  56. Leva e non metti ogni gran monte ascema.
  57. Il mangiare gli insegna il bere!
  58. Bocca (bazza) unta non disse male di nessuno.
  59. Pe malati c’è la china, ma pe bischeri un c’è medicina.
  60. Il cane di tanti Padroni morì di fame.
  61. L’amore e la tosse non si possono nascondere.
  62. Di una pisciata non facciamo un’alluvione.
  63. Se la Retaia l’ha il cappello preparati l’ombrello.
  64. Male non fare, paura non avere.
  65. Quando si va alla “guerra” bisogna portassi du balle: una pe prendelle e un’altra pe dalle.
  66. Senza lilleri ‘un si lallera.